martedì 30 giugno 2020

Piano per i beni culturali e architettonici di Gattinara 2.0

(arch. Andrea Caligaris)

A gennaio 2019, l'arch. Andrea Caligaris, in collaborazione con l’architetto Giuliano Spinelli, ha presentato il Piano per i beni culturali e architettonici di Gattinara.

Nel Piano sono censiti e catalogati tutti i beni importanti presenti nel Comune di Gattinara, suddivisi per categorie, nelle diverse tipologie edilizie, come i complessi monumentali religiosi e civili, le chiese e le cappelle, gli edifici pubblici e privati, le esistenze edilizie residue di interesse storico e ambientale, nonché i beni paesistici ambientali, per un totale di oltre sessanta beni.

L’opera si ispira ad un precedente censimento su base cartacea del 1988, fatto dagli architetti Tiziano Favero e Giuliano Spinelli e dall’ing. Franco Ferretti.

La digitalizzazione e la pubblicazione online dell’opera, curati dall’architetto Andrea Caligaris, hanno richiesto una completa revisione e un aggiornamento di quel Piano, con l’integrazione della documentazione sulla base delle nuove scoperte ed acquisizioni avvenuti negli ultimi trent’anni.

Il Piano introduce una sezione inedita con le mappe storiche di Gattinara e alcune tavole sinottiche che, con l’aiuto di schemi grafici, permettono di visualizzare le trasformazioni storiche del borgo nei secoli.

La pubblicazione, ricca di informazioni e di immagini a colori, propone anche un viaggio nel borgo tra storia, arte e cultura, grazie a riprese esclusive dal drone, che permettono viste inedite e la comprensione dei luoghi e del loro contesto a 360°.

Per scaricare il Piano dei beni culturale della città di Gattinara cliccate qui. (attenzione sono circa 18 MB)

Florence Nightingale: la sua vita (seconda parte) La Guerra di Crimea

(di Giulio Zella   - OPI Vercelli)

Nel mese di marzo 1853 la Russia invade la Turchia. Temendo l’espansionismo russo, la Gran Bretagna, la Francia e il Regno di Sardegna inviano truppe in soccorso ai turchi. 
A Scutari, sul bosforo di fronte a Costantinopoli l’odierna Istanbul, le caserme dell’artiglieria turca erano state consegnate agli inglesi insieme con l’annesso Ospedale Generale:  era il complesso ospedaliero nelle retrovie dove venivano trasferiti i militari feriti e malati, dal campo di battaglia, luogo dove avevano ricevuto le prime cure negli ospedali da  campo.

I feriti venivano ammassati su navi di qualsiasi genere  che venivano adibite a navi ospedale ma che di sanitario non avevano nulla. Nel frattempo era scoppiata, fra le truppe, una epidemia di colera che aveva congestionato fino all’inverosimile i locali dell’Ospedale Generale. Pertanto, il comando, per far posto al continuo e incessante arrivo di feriti dal fronte e dal gran numero di malati di colera, decise di adibire a ospedale anche i locali dell’intera caserma. L’edificio era molto vasto ma in pessime condizioni, molto sporco e addirittura una parte era in rovina, mancava il personale per assistere i feriti e i malati, il materiale per ripulirlo e le attrezzature sanitarie erano inesistenti. 

Sidney Herbert, che nel frattempo era diventato Ministro della Guerra, ritenne poco convincenti le assicurazioni dei vertici militari e sulla spinta di una opinione pubblica sempre più indignata per le notizie che giungevano dal fronte,  il 15 ottobre 1854 scrisse a Florence Nightingale invitandola a recarsi a Scutari e inserendo, per la prima volta nella storia britannica, delle infermiere nei ranghi dell’esercito. Florence Nightingale accettò. 

Florence fu incaricata, dal Ministero della Guerra,  di assumere 40 infermiere. Passarono la selezione  solo in 38 fra laiche e religiose.
Fin dal primo momento in cui posero piede sulla spiaggia di Costantinopoli Florence Nightingale e le sue infermiere incontrarono la ferma e incondizionata opposizione dei comandanti militari e dei medici militari. “Di tutte le pazzie del Governo questa era la peggiore” dissero.

Il 5 novembre 1854 quando, Florence, arrivò all’Ospedale Militare stava cominciando l’inverno. Alle infermiere erano state assegnate sei stanze, di cui una era la cucina, e un’altra uno sgabuzzino di nove metri quadrati. Una delle camere era ancora occupata dal cadavere di un generale russo. Tutte le stanze erano sporche e non c’era modo di poterle ripulire, non c’era nulla da mangiare, non c’erano lampade né candele e mentre si coricavano fra topi e pulci lo sconforto fu davvero comune a tutte. 

L’Ospedale era un disastro in quel tempo fra feriti e malati si arrivò a toccare l’incredibile numero di 10.000 pazienti ricoverati contemporaneamente. Mancavano i letti e la biancheria i malati e i feriti erano distesi in più file direttamente sul pavimento avvolti nelle stesse coperte con le quali erano stati soccorsi al fronte indurite dal sangue e dagli escrementi. Le amputazioni e gli interventi chirurgici avvenivano direttamente in corsia con i pazienti seduti su delle botti, sotto gli occhi di tutti  specialmente di coloro che avrebbero subito la stessa sorte poco dopo. 
Con il danaro messo a disposizione da una sottoscrizione del Times e con i suoi risparmi personali comperò letti, coperte, biancheria, camice berretti da notte, installò una lavanderia e una cucina, ingaggiò personale per la pulizia delle corsie e per seppellire i morti. Lavorò incessantemente sino allo sfinimento fisico e nello spazio di pochi mesi l’ospedale cominciò a funzionare. 
Dimostrò, con l’uso della statistica, che l’alto tasso di mortalità per malattie tra i soldati (42%) era correlato all’inadeguatezza dell’assistenza e, nonostante gli ostacoli frapposti dagli ufficiali medici, che non accettavano questa teoria, potendo contare sui fondi ottenuti da donazioni private, con grande determinazione riuscì a dotare il Barrack Hospital di Scutari di efficienti servizi igienico-assistenziali e di idonee infrastrutture. Il tasso di mortalità scese al 2%.
Quello che non riuscì mai a migliorare fu il suo rapporto con i militari e con i medici che la vedevano sempre con diffidenza se non con vera ostilità. Florence Nightingale viene rappresentata nella iconografia popolare come la Signora della lampada perché pare usasse una lampada per spostarsi nelle corsie durante la notte.

La realtà in effetti era molto diversa. Sicuramente la lampada era utilizzata per questo scopo ma una notte il reporter del Times la raggiunse in ospedale e la trovò con un martello in mano. Aveva da poco scassinato un armadio di farmaci che il medico di reparto si ostinava e tenere chiuso a chiave e in nessun modo voleva dispensare i farmaci ai malati. Nel suo articolo, tuttavia, ritenne di non dover raccontare proprio tuttala verità e così invece di un poco dignitoso martello mise fra le mani di Florence Nightingale una lampada.

Florence Nightingale si ammalò di brucellosi una malattia allora ancora sconosciuta che veniva chiamata genericamente febbre di Crimea. Sopravvisse, anche se gli strascichi della malattia la resero praticamente invalida per tutto il resto della sua vita. 
Ritornò in servizio e portò a termine la sua missione fino alla fine della guerra. Intanto in patria la sua figura e quella delle altre Infermiere erano divenute vere e proprie icone. Le sue gesta  erano costantemente riportate dalle corrispondenze del Times e lei era ritenuta un eroe per essersi spesa fin quasi alla morte per assistere i soldati feriti e malati.

Nel mese di luglio 1856, quattro mesi dopo la cessazione delle ostilità, Florence Nightingale e le sue infermiere si imbarcarono a Costantinopoli per far ritorno in Inghilterra.
(le immagine sono estratte dal sito del National Army Museum di Londra)

(Fine seconda parte - continua)

I Borghi Franchi costruiti da Vercelli: un primato italiano

Il comune di Vercelli, nella sua massima espansione tra la fine del 1100 e il 1200 si assicura il controllo dei confini con una serie di Borghi Franchi, realizzati utilizzando leve fiscali, quali l’esenzione dal fodro e la concessione gratuita della proprietà immobiliare dei terreni edificabili a chi partecipa ai lavori o vi si insedia definitivamente.

Anche altri Comuni come Milano, Pavia, Como e Lodi concedono privilegi di natura fiscale o economica a comunità del contado come Erba, Orsenigo, Lecco, Cantù e Treviglio nel milanese, Vigevano, Voghera e Suardi nel pavese, Moltrasio nel contado di Como. Stesso trattamento viene riservato agli immigrati nei borghi nuovi costruiti da Lodi.
Grazie a Monsignor Giuseppe Ferraris (“Borghi e borghi franchi quali elementi perturbatori delle pievi” – 1982) sappiamo che Vercelli vive in quell’epoca “una furia edificatoria”, con oltre venti nuovi Borghi Franchi, che testimoniano la sua potenza economica e politica e le conferiscono un primato assoluto nell’Italia del tempo.

Vercelli fa sorgere Villanova (1197), Piverone (1202), Magnano (1204), ricostruisce Trino (1210) dopo la sua devastazione attorno al 1182, Borghetto di Po (1217) ben presto estinto, Tricerro (1218), Casalvolone (1223), Caresana (1233), Crescentino (1242), Gattinara (1242), Castelletto Cervo (1254), Livorno (1254), Mongrando (1254), Serravalle (1255), Tronzano (1256), Cavaglià (1257), Peronasca oggi Pernasca presso Vinzaglio (1258), Borgo Nuovo di Dora, Uliaco presso Moncrivello (1261), Balzola (1269), Borgo d’Alice oggi Borgo d’Ale (1270), Azeglio presso Ivrea (1270).
Natura simile ai Borghi Franchi hanno, durante la dominazione del Comune di Vercelli, anche le realtà di Carpanetto, Salasco, Rive, Robbio, Palestro, Confienza.

Nel “Borgo della Pieve”, come è chiamata Gattinara, il 30 marzo 1242 confluiscono gli antichi abitati di Loceno, Rado, Lozzano e Locenello. 
Il Comune di Vercelli, sulla riva destra del fiume Sesia, edifica Serravalle il 13 marzo 1255, con la fusione dei paesi di Naula, Bornate e Vintebbio.
I due Borghi franchi segnano una vittoria politica del Comune di Vercelli, che agisce su territori di pertinenza del vescovo e non sotto la sua giurisdizione. In entrambi i casi Vercelli sfrutta controversie interne, per garantirsi il controllo del passaggio verso la Valsesia.

Fra i tanti, Gattinara è il Borgo Franco considerato emblematicamente il “caso studio italiano”.

Piante officinali: unica terapia contro le malattie ai tempi di Guala Bicchieri, le piante officinali tornano prepotentemente d'attualità.

(Giuliano Schiavi - farmacologo)

La pandemia causata dal virus Covid-19, ha mostrato a tutto il mondo che la ricerca di farmaci efficaci verso nuove forme di malattie sconosciute è impellente. Ma uno sguardo a ritroso nella storia ci offre un’alternativa nella ricerca di soluzioni terapeutiche. Nel corso dei secoli l’uomo ha avuto come unica risorsa l’impiego delle erbe officinali e molti testi, giunti fino ai giorni nostri, ci spiegano il modo in cui venivano preparate e utilizzate. Queste terapie erboristiche hanno accompagnato lo sviluppo dell’umanità fino all’inizio del secolo scorso quando la chimica ha iniziato ad usare e modificare i principi attivi contenuti nelle piante per brevettare i farmaci.
Le “cure con le erbe” erano l’unico rimedio terapeutico conosciuto nel 1224, quando fu costruito l’ospedale Sant’Andrea e i Sanvittorini iniziarono a curare a Vercelli i corpi, oltre alle anime.
Consulta ritiene utile approfondire storicamente questa conoscenza, soprattutto perché si rivela ancora in grado di offrire terapie efficaci e, a volte, uniche.  
Nel Medioevo nasce il giardino monastico l’”hortus conclusus”, dove si coltivano erbe e piante per preparare i rimedi naturali contro i mali del corpo.

Con il Monachesimo e il sorgere di numerosi monasteri, la cultura romana si tramanda nei secoli e si mantiene in vita attraverso lo studio e la conservazione di antichi testi.
Walafrido Strabone (830 d.C.) fa riferimento a numerose specie aromatiche, officinali e da cucina (finocchio, salvia, aglio, ecc.). Si disegna la pianta di un “orto medicinale”, composto da “spartimenti”, nei quali sono messe a dimora le diverse specie di piante, come in un futuro orto botanico. Carlo Magno fa scrivere il “Capitulare de Villis”, con istruzioni sui giardini. Alberto Magno nel “De Vegetabilibus et plantis”, descrive un giardino ideale.

Furono i monaci benedettini a svolgere un’intensa attività di ricerca in campo farmaceutico riguardo la produzione di medicamenti efficaci per la cura di vari disturbi, oltre a redigere cataloghi articolati e commentati delle diverse erbe coltivate, utilizzate per le cure mediche, detti Hortuli.
Sono questi libri di medicina monastica, diffusi in Italia e in Europa nell’Alto Medioevo, che contenevano la descrizione dei ‘semplici’ coltivati negli orti dei conventi, con cui si preparavano i medicamenti. 
Gli speziali del Medioevo suddividevano i farmaci in due categorie: simplex et composita, a seconda che fossero naturali o elaborati artificialmente. 
Già Isidoro di Siviglia (560-635) consigliava di coltivare i semplici in un botanicum herbarium, inaugurando la tradizione ‘erbalista’.
All’epoca di Benedetto (VI secolo) la scienza delle erbe e piante medicinali esisteva ed era diffusa in tutti i monasteri, ma Lui fece incrementare la ricerca e la scienza medica, promuovendo lo studio dei trattati di Medicina. I benedettini svilupparono questa scienza e, dall’ “armarium pigmentorium” iniziale, progressivamente organizzarono le farmacie.
I medicinali erano sicuri, i dosaggi e le indicazioni davano garanzie, così come la conservazione in quei vasi antichi caratteristici, che ancora oggi abbelliscono le farmacie.

Ai giorni nostri la coltivazione e la raccolta delle piante officinali rappresenta un'interessante opportunità economica e terapeutica. Infatti l’utilizzo degli olii essenziali per la preparazione di rimedi per l’impiego in varie patologie rappresenta un interessante supporto alla terapia farmacologica convenzionale.
Molti olii essenziali posseggono attività battericida e antivirale e la combinazione mirata di questi preparati consente di ottenere risultati incoraggianti.

Un esempio dell'efficacia di miscele di olii essenziali viene dal dr.Bernard Christophe. Laureato in farmacia e specializzato in fito-aromaterapia ha lavorato per per quasi quarant'anni allo sviluppo di un preparato fitoterapico composto da miscela di oli essenziali ad alto potere battericida a base di salvia, salvia officinale, camomilla selvatica, chiodi di garofano, origano compatto, cannella e niaouli.

Questa miscela dì olii essenziali è in grado di eliminare dagli animali e dall’uomo il patogeno Borrelia Burgdorferi trasmesso dalla puntura delle zecche, che causa la malattia di Lyme.
Destinato all'uso esterno grazie alla sua capacità di attraversare la barriera cutanea, in un secondo tempo terapisti e veterinari lo hanno testato su cavalli e hanno scoperto che può distruggere questo batterio all’interno del corpo.E’ stato provato anche nell’uomo dando una eradicazione totale dalla borrelia in un periodo compreso tra i tre e i sei mesi.
Pertanto dalla esperienza millenaria con le piante officinali possiamo ancora utilizzare antiche e nuove ricette per la preparazione di rimedi efficaci per ridare all’uomo moderno la salute che nelle nostre città è spesso messa in pericolo dall’inquinamento dell’aria e dal frenetico stile di vita a cui siamo sottoposti.